mercoledì 29 dicembre 2010

CHICAGO BLUE


Ma è proprio inevitabile che osservando il buio ne emergano figure provenienti dal passato? Questo è il buio di un altro paese, sono le tenebre di Chicago che gravano sul lago Michigan, allora cosa ci fanno tutti questi fantasmi di gente che sostiene di essere ancora viva? Perché non le coste brillanti, frastagliate e sbriciolate della Groenlandia vista dal cockpit dell’aereo? Bianche e pure, un biancore che non sa di spettri, di ombre viventi, ma di infinito. L’aereo sembra immobile e il mondo gli gira sotto, un’attrazione del luna park. “Stiamo volando più bassi a causa di un problema di pressurizzazione e il cielo così terso capita di rado.” Il mare sbocconcella lastre di ghiaccio e le sparpaglia nella sua vastità. La Groenlandia si allontana. E tornano le apparizioni. In particolare, stampato nella pioggia fredda e scura, un volto che il lutto non ha ancora trascinato via. Ha le labbra esangui come si addice a un’apparizione. Si muovono, dice qualcosa, ma chi ha più voglia di stare ad ascoltare le sue bugie?

“Scendi le scalette, c’è un sottopassaggio che porta direttamente al lungo lago.” All’una di notte la Groenlandia si lascia sopraffare dallo spettro, e si mescola all'elenco dei desideri: colazione a base di pancake, un barattolo di burro di arachidi crunchy da Whole Foods, camminare tra i grattacieli fino a consumare le cartilagini delle ginocchia, vedere la "Grande Jatte", "Nighthawks" e "American Gothic" all’Art Institute… il cuore salta in gola all’idea di trovarli insieme, come quella volta della "Madonna del Prato" di Raffaello al Kunsthistorisches Museum di Vienna, con le lacrime agli occhi nell’assistere a tanta luce e tanto colore raccolti nello spazio di un quadro, qualcosa che la natura non sarebbe mai stata capace di fare. La pioggia penetra gelata nelle maglie del berretto di lana. Al ristorante giapponese una chiamata, numero sconosciuto; una voce femminile chiede timidamente se nome e cognome corrispondono. “Sì, sono io. Sono a Chicago.” “Ah, è per la carta di credito, autorizziamo la spesa?” “Certo. Chiamate per importi del genere?” “Una verifica, non si sa mai. È al di fuori dalla sua solita area di utilizzo…”

Perché continuare a tornare indietro con i pensieri? Cosa c’è che non va in questa camminata solitaria? Nel cielo corrono nubi che sfumano il nero. Ontario Street è deserta, le scalette e il sottopasso illuminato da luci al neon. Il rumore dei passi e sopra il traffico notturno sulla Lake Shore Drive, con le macchine che sciabordano mentre il lago se ne sta calmo. Una figura incappucciata dalla parte opposta. Uno studente in hood con la tracolla. Scuote la pioggia da un ciuffo di capelli che esce dal cappuccio. Cosa si fa in questi casi, bisogna salutare? Questa volta no: lui prosegue guardando davanti a sé.

Non è il momento giusto per fare jogging sul lungo lago. Il parco è spazzato da folate di una pioggia che ora diventa sottile come nebbia. Appare improvvisa la statua di bronzo di un uomo seduto su una sedia di bronzo. Il lago assorbe qualsiasi pensiero, un finto mare che si estende all’infinito, risucchia le tenebre e le rende quiete. Annega i fantasmi nell’eccitazione di un enorme e silenzioso spettacolo privato.

Autobus e taxi sono cetacei addormentati vicino al Navy Pier, all’ingresso del Childen’s Museum. L’obiettivo è arrivare fino all’estremo limite al Shakespeare Theater. Le luci delle giostre e della grande ruota splendono di luce cristallina in lugubre attesa di tutti coloro che stasera non verranno. Un appuntamento disatteso è il preludio dell’abbandono, per luoghi e persone.

Cosa farebbe Lot in una situazione simile? Arrivato alla fine del molo si getterebbe in acqua. Invece dietro le spalle si rivela il profilo ingioiellato di Chicago: geometria solida di luci che si arrampicano fino alle vette della Sears Tower, riflessi d’oro e argento, e poi di giallo vivo e ocra di luci smorzate, il blu e il rosso. Il bianco delle finestre degli uffici percorsi dal turno di pulizie, le ghirlande del traffico…

Il ritorno sul lato opposto, dove i traghetti dormono ormeggiati in fila lungo il molo e le biciclette in affitto li imitano sotto le tettoie. L’odore di grasso animale esce dalla porta di un ristorante mentre un inserviente trascina fuori un bidone pieno.

Poi, lungo la Illinois Street, un uomo nella sua auto parcheggiata fuori da un club, bronzeo mentre parla al cellulare. Voglia di mangiare una banana e una deviazione al supermercato notturno prima di rientrare in albergo.

Niente foto, please, la foto ferma un’immagine che deve rimanere libera di muoversi nella testa. La foto va bene solo per chi non c’era.

timing 14 novembre 2010

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