venerdì 25 febbraio 2011

TRE VIAGGI DEL PAZ

Terzo: in cui sofferenza e incoscienza vivono in splendida armonia


È la tarda primavera del 1985 e un’allora sconosciuta azienda che fa orologi invita a Basilea una serie di autori a un happening di pittura per lanciare il loro nuovo modello in plastica trasparente. La ditta si chiama Swatch.

Andrea non è stato chiamato, ma tutti i suoi amici di Bologna sì. Forse perché lui è più istintivo e meno designer di loro. O forse perché non pagavano abbastanza. Per Andrea “prima pagare” non era una battuta.

Tu sei lì che, sudando, dipingi su un telo di cinque metri per tre che sovrasta una piccola piazza. Sei infilato dentro una tuta di carta bianca e un aereo che sorvola ad alta quota disturba Soon over Babaluna dei Can nel walkman.

Arriva alle tue spalle la giornalista di una rivista di moda milanese che una volta ti ha intervistato. “Ti ricordi di me?” dice. È lì per fare un servizio sul lancio dello Swatch trasparente (sarebbe uscito in commercio il mese dopo, dando inizio alla mania collezionistica degli orologi “customizzati”…).

“Certo che mi ricordo.” Ti siedi sull’impalcatura. C’è uno sguardo d’intesa che ti mette a disagio. Mentre parlate ti chiedi se ne avresti voglia. Sei un po’ timido e un po’ snob. E le ragazze con le tette grosse ti mettono sempre in imbarazzo. Ma sembra simpatica. Concludi che ci penserai domani. Forse.

Mentre il sole cala, quelli che dipingono si danno appuntamento per la cena. Ed ecco apparire Andrea, vestito troppo leggero per il clima svizzero. “Ragazzi, ho pensato che a Bologna mi annoiavo, e che vi sarei mancato.”

Si mette d’accordo per dormire sfruttando il letto inutilizzato nella camera doppia di quello tra i presenti che lui considera il suo amico del cuore. Un fumettista conosciuto principalmente come artista visivo.

La fidanzata lo ha appena lasciato e lui ha bisogno di stare in compagnia. Anche il suo tono di voce è più alto del solito, come se volesse sentirsi mentre fa le sue battute. A Bologna si sentiva senza un pubblico, abbandonato e solo.

L’appuntamento dopo cena è in un locale di tendenza, festa offerta da Swatch. Gli italiani si riuniscono e un lampo a metà tra pietà e la curiosità antropologica ti attraversa la mente: presenti la giornalista milanese all’inconsolabile Andrea. A varie riprese, durante la serata, ha chiesto all’amico del cuore, che conosce molto bene la sua ex fidanzata, se anche lui pensa che tra loro sia tutto finito. Con lo sguardo supplicante, come se l’altro avesse il potere risolutivo di farla tornare da lui. Secondo te cosa le ho fatto? Ma pensi che non mi voglia più vedere? Tornerà da me? Ha un altro?

L’amico dà risposte evasive, periferiche, sibilline… sempre più sfumate, lontane da qualsiasi senso compiuto, cercando di sottrarsi all’interrogatorio. Il dialogo diventa allusivo, fantastico, assurdo, come se quei due stessero parlando di qualcos’altro, di cui sanno tutto ma di cui non riescono a dirsi nulla. “Sarà con qualcuno adesso?”

“No, non ti preoccupare.”

“Ma tu come fai a dirlo?”

“Lo sai che io queste cose le intuisco.”

“Hai il sesto senso. Sei un artista.”

“Ehm…”

“Grazie. Grazie. Se non ci fossi tu… È bella, vero?” scuote la testa. “È bellissima.”

“Eh sì.”

“Lo pensi anche tu?”

“Sì, certamente.”

“Non può lasciarmi. Non riuscirei ad amare un’altra donna. Tu mi capisci, vero?”

“Ti capisco.”

“A volte mi chiedo come fai a capirmi così bene. Noi ci capiamo al volo.”

“Capita.”

“Non ho mai avuto un amico come te.”

“Dài.”

“È vero.”

Il locale è diviso in due ambienti. Una parte è infossata come una cava di marmo. Laggiù tutti ballano. L’impianto di condizionamento è insufficiente ad ammortizzare il calore umido che sale dai corpi sudati.

Andrea è già di sotto e balla, balla, balla… come un forsennato. Con addosso la sua solita canottiera e i jeans. Come in un suo disegno. Con la testa e le braccia che sembrano svitarsi dal corpo. Grondante di sudore. Con gli occhi che bucano le pareti, la roccia, le stelle… e proseguono persi altrove.

Gli altri a un certo punto se ne vanno e lui resta. L’amico del cuore lo saluta con un gesto malinconico ma lui non lo vede. Gli dice di bussare quando rientrerà, ma Andrea non sente.

Tu lo osservi. Ti chiedi che cos’abbia e nutri dei sospetti su cosa condividano quei due. Ti pare che lui ora trasudi rabbia bella e buona. Ma hai sonno e te ne vai.

Al mattino si scopre che Andrea non è andato a dormire. E solo più tardi, quando passa a salutare, il bullo borghesuccio che è in lui ha bisogno di far sapere a tutti che ha passato la notte con la giornalista milanese.

Eh sì, Andrea era un vero uomo.

E, in quanto tale, onnivoro.

5 commenti:

  1. Questi pezzi sono davvero belli, Daniele.
    Però.
    Bho. Ho l'impressione che Paz vi abbia reso tutti Salieri. A leggervi così, da uno che non ha vissuto nulla di queste cose.

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  2. Bel blog. Grazie per quei tuoi ricordi/racconti sul Paz!

    saluti sardi
    smok!

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  3. Ciao Andrea! Innanzitutto grazie a Recchioni che mi ha fatto scoprire che hai un blog!

    Ti ho messo tra i link del mio blog!

    ciao

    Giorgio

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  4. Ma che lapsus ho fatto? Ho scritto "ciao Andrea" (stavo pensando al post su Paz che hai scritto) invece di "ciao Daniele"! Ci sarebbe da analizzare freudianamente!

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  5. Ma.. è un bel parlare male di Paz, o parlarne bene mal riuscito?..
    Non so , ma il commento di RRobe e la lettura degli altri tre racconti mi hanno suscitato questa riflessione..

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