venerdì 13 agosto 2010

CONFESSIONALE

Voler conoscere uno scrittore perché si amano i suoi romanzi è un’aberrazione, ma come si può definire il caso di uno scrittore che vuole farci conoscere la sua vita per evitare di essere identificato con gli aspetti più “scorretti” della sua opera?

Purtroppo questo è il caso di J.G. Ballard che ne I miracoli della vita (Miracles of Life, edito in Italia da Feltrinelli) rinnega l’implacabile geometria dei suoi scritti per cercare un’assoluzione in prossimità della morte. Lo ammette persino, alla fine del volume, che è stato il suo oncologo a suggerirgli di scrivere questa sua autobiografia, una volta riconosciuto il suo status di malato terminale e in previsione dell’inevitabile soluzione del male. Quindi una scrittura terapeutica che va a intorbidare la precisione chirurgica di quanto prodotto in precedenza da Ballard. Ne emerge una voglia invadente di rassicurare il lettore (e con lui se stesso), in prossimità della propria morte. Ma che ne è dell’orlo dell’abisso su cui ci aveva fatto affacciare, della scarnificazione della storia e dell’orizzonte antropologico (e anche sociale e psicologico, per dirla tutta) operata con libri come Atrocity Exhibition o Crash? Della fine della civiltà come estrema nullificazione dell’essere narrata in racconti e romanzi, spacciati mimeticamente per “fantascienza”, in cui lo spazio interiore esondava per diventare un ambiguo paesaggio globale? Dell’autobiografia che metteva in gioco il punto di vista storico per annullare ragione e torto, bene e male, come implicitamente in Empire of the Sun o The Kindness of Women?

Tutto rinnegato, tradito dall’urgenza di far sentire il peso dei sentimenti. J.G. Ballard sente improvvisamente il bisogno di spiegare l’importanza che hanno avuto per lui le cose che ha fatto, quasi implorando il lettore di ricordarsi della sua vita e non della sua opera. O meglio, di leggere i suoi libri come risultato astratto di un progetto e non di una vocazione. Spiega ogni retroscena e ogni momento della sua esistenza, separandoli nella maggior parte dei casi da quanto ha scritto, quasi scusandosi se a volte i suoi testi sono coltelli ficcati nel cuore ipocrita della cosidetta realtà, riportando tutto a una mitezza famigliare, domestica, costellata di foto di famiglia di genitori, figli, mogli e sopralluoghi. Ci tiene a dire che è stato un bambino simpatico e scavezzacollo, un marito innamorato, un ragazzo padre premuroso… indulge persino nel pettegolezzo più stucchevole, stimolando il basso voyeurismo di un lettore omologato al sistema dei best-seller, quando un tempo il suo era invece un voyeurismo che scendeva implacabile nelle profondità inammissibili della psiche.

L’unica soluzione possibile è togliere questo volume zuppo di patetismo dalla bibliografia di Ballard.

1 commento:

  1. Eppure anche in quel biografismo sdolcinato e patetico che tu tanto bene metti in evidenza, si intravedono le inquietudini più profonde ed eversive presenti nella sua opera.

    E il suo ultimo romanzo, Kingdom Come, contribuisce comunque a riequilibrare bene la faccenda.

    Bentrovato, Daniele. A volte le circostanze tristi della vita ci impediscono di mantenere i contatti con le persone che si stimano di più, di sentire perlomeno la voce delle persone che per noi sono più importanti.

    E tu per me - col tuo sguardo lucido, con la tua magnifica intransigenza - sei sempre stato importante.

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