Footnotes in Gaza… chi sono le “note a margine della Storia” di cui parla Joe Sacco nel suo ultimo reportage disegnato dalla Palestina? Persone destinate a svanire ai margini degli eventi, a essere risucchiate nella rincorsa esponenziale a un computo delle vittime del conflitto. Per realizzare questo libro, Sacco è tornato nella Striscia di Gaza, intenzionato a documentare un anno cruciale nel rapporto tra Palestina e Israele: il 1956.
Pensate di vivere in un territorio in cui sembra essersi puntato a caso l’indice del destino. E di quel destino rimanere ostaggio. Di vivere al centro di una perenne crisi internazionale ma senza essere abbastanza importanti e significativi da parteciparvi. Alla fine quella frustrazione, quella di un popolo condannato che può solo condividere odio e non speranze, vi sembrerà sufficiente a giustificare gli attentati suicidi.
Sacco esegue la sua ricerca su due binari, passato e presente. I palestinesi contemporanei (giovani o meno) gli chiedono perché voglia parlare di fatti di cinquanta anni prima, e insistono che il presente è molto peggio. Mentre vive in diretta la distruzione sistematica delle case palestinesi da parte delle ruspe blindate israeliane, Sacco va a caccia di testimonianze del passato, riportando ognuna di queste voci con nome e cognome (insistentemente, ripetutamente…). È un libro che parla di rimozioni e lui cerca di reinserire nel tessuto della Storia maggiore una parte delle note che i flussi di informazione eliminano violentemente ogni giorno. Nel 1956, il popolo palestinese rimane schiacciato all’interno di una lotta di interessi economici e politici sullo scacchiere internazionale: Egitto, Gran Bretagna, Francia, Unione Sovietica, Stati Uniti… tutti più o meno coinvolti nella crisi, con Israele pronta a cogliere l’occasione per schiacciare quanto rimane della Palestina.
Si parla di due città nella Striscia di Gaza: Khan Younis, dove con un pretesto (inventato a posteriori…) gli israeliani rastrellano e uccidono brutalmente i maschi validi, e Rafah, dove invece, in quegli stessi giorni di novembre, i maschi vengono raccolti in una scuola come in un lager, umiliati e in alcuni casi massacrati di botte.
In questo resoconto ottenuto attraverso le testimonianze (a volte discordanti perché di fronte a fatti tanto traumatici il sopravvissuto spesso ricombina gli elementi nel modo più utile a sopravvivere allo shock) il male subito sta più nell’umiliazione che nella morte, nella cancellazione del corpo in quanto identità. I palestinesi vengono uccisi quando non possono più essere umiliati. E i vertici israeliani dimostrano di sapere bene che la rimozione dell'identità di una nazione è più efficace se si colpisce la parte connettiva, se si distrugge il tessuto sociale, la sua capacità di riaggregarsi, i vertici sono solo una conseguenza non lo spirito di un popolo. In un ispirato succedersi di passato e presente, Sacco suggerisce che la distruzione sistematica delle case di oggi non è altro che un aggiornamento delle esecuzioni sommarie di cinquanta anni fa. Restituire alla Storia della Palestina le sue note a margine, significa ridare a un popolo la sua identità.
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