Se avete la puzza sotto il naso, lui ve la toglie con il patchouli. È arbitro di eleganza letteraria, colui che ha scritto di disprezzare la maggior parte dei narratori nostrani perché nei loro romanzi c’è sentore di sugo e di cucina. Ha esaltato autori come Giorgio Faletti e Alessandro Piperno e riservato la sua disapprovazione a molti altri. Qualcuno potrebbe chiedersi perché sia un uomo temuto, come facciano i lettori a considerarlo un critico. In effetti è come se scambiassimo Oronzo Canà per un profeta del calcio dopo aver visto L’allenatore nel pallone o Renato Pozzetto per un disegnatore di fumetti a causa di Questo e Quello. È la collocazione a fare di lui un critico rispettato, venerato, seguito, ascoltato, senza farci sospettare che ne sia la parodia. Ovvero è grazie all’autorità e al potere che gli deriva dal pubblicare i suoi pezzi su Sette, l’allegato settimanale del Corriere della Sera. È una firma importante. O come recita con grande autolesionismo la scheda di prenotazione per le librerie del suo primo romanzo in uscita il prossimo ottobre: “…firma la più discussa, discutibile, indiscussa e indiscutibile, rubrica di libri che c'è, nella quale ha cercato di dare agli italiani il gusto di parlare di romanzi e di scrittori con la stessa competenza e passione con le quali di solito parlano di partite e giocatori di calcio”.
Sì, è lui, il Principe del fané, Antonio D’Orrico. E come ribadito dalla scheda – rimanendo in termini calcistici – con un geniale autogol mondadoriano, scrive di letteratura come al bar si parla di calcio.
E a far coincidere ulteriormente chiacchiere da bar e letteratura è venuto il sospirato momento del suo primo romanzo. Titolo? Liberamente ispirato, pubblicato nella collana SIS Mondadori, quindi quella letteraria. Noblesse oblige. Ovvero, in quanto potente titolare di una rubrica settimanale, l’editore è ben contento di compiacere Antonio D’Orrico.
La scheda che ne traccia i contenuti (la frase precedente proveniva dalla nota biografica) viene qui riprodotta così com’è, integrale, ne vale la pena. E il parallelo con gli esempi più triviali e caserecci della parodia cinematografica all’italiana è inevitabile. Se avesse avuto più coraggio avrebbe potuto sfiorare il sublime di Ultimo tango a Zagarolo, dell’Esorciccio o di Ku-Fu? Dalla Sicilia con furore, invece è ancora troppo legato a modelli letterari – per lui irraggiungibili – come, possiamo supporre, Arbasino o Isherwood. Che lo rendono ridicolo senza la prospettiva di diventare di culto. Dai nomi dei personaggi alla trama, non necessita di commenti. Prosit.
Antonio D’Orrico Liberamente ispirato, in libreria da ottobre 2010
Nel salotto della bella Selvaggia Venanzi, il più esclusivo di Roma, il giovane, promettente ed emozionatissimo commediografo Vittorio Campari sta per dare lettura del suo nuovo lavoro quando Kashmir Paolazzi, il famoso giornalista, gli ruba la scena e illustra ai presenti il suo ennesimo, formidabile scoop: l’invenzione della bomba atomica portatile (come il telefonino) da parte di uno scienziato italiano costretto a emigrare all’estero a causa del deprecabile fenomeno della fuga dei cervelli. Deluso dall’esito di quella che avrebbe dovuto essere la sua serata, scippatagli dal celebre inviato, Vittorio Campari ritorna nel suo modesto bilocale in periferia deciso a dire addio ai suoi sogni di gloria letteraria e mondana. Eppure proprio quella notte in cui tutto sembra perduto, nella vita di Vittorio si verifica una inattesa doppia svolta, professionale e sentimentale, che lo catapulta in una serie di avventure comiche, drammatiche, sconce, romantiche, hollywoodiane, palermitane, pazze e criminali.
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