giovedì 26 agosto 2010

ETICA E LIBRI


Ci sono editori che vivono a spese della regione a statuto speciale, ci sono editori che vincono prodigiosamente gare di appalto per tutte le pubblicazioni di “edutainment” di alcune regioni, ci sono editori che ricevono contributi per la carta su periodici discutibili a dispetto di altri che, viene detto dall’apposita commissione, “non fanno editoria di cultura”, ci sono editori che turlupinano fondi di sovvenzione per la promozione della cultura di qualche paese straniero fingendo di stampare e realizzando in “print on demand” solo le copie necessarie per la finzione, ci sono editori che non “evadono” ma “eludono”… e poi tutti a scandalizzarsi per Mondadori. Niente è più specchio di un paese mafioso dell’editoria italiana, in fondo molto simile a una lotta tra clan (dove il più forte, ovviamente, domina).

I milioni di tasse evasi da Mondadori verranno pagati indistintamente da tutti i contribuenti e, ironia della sorte, anche chi non legge un solo libro durante l’anno, si troverà a contribuire suo malgrado. Del “decreto 40”, definito “ad aziendam” da alcuni organi di informazione, che risolve una controversia fiscale risalente al 1991 si è già letto. La transazione permette a Mondadori di portare 350 milioni di tasse a 8 e mezzo circa, con un notevole risparmio. Ovviamente è superfluo ricordare la coincidenza tra la proprietà della Mondadori (famiglia Berlusconi) e l’attuale presidenza del governo italiano.

Il teologo Vito Mancuso, autore Mondadori, ha esposto su Repubblica del 21 agosto il suo caso di coscienza: “Come posso fare dell’etica la stella polare della mia teologia e poi pubblicare libri con un’azienda che non solo dell’etica ma anche del diritto mostrerebbe in questo caso, una concezione alquanto singolare?” Per poi lanciarsi in un lungo sproloquio (di implicito “lavaggio del sé” con speranza di catarsi, molto cattolico), in cui si dibatte tra coscienza ed esegesi dei meriti editoriali di Mondadori. E alla fine allarga a una corresponsabilità (anche questa procedura mi sembra tipicamente cattolica) in cui chiama in causa suoi esimi colleghi di Repubblica che pubblicano per Mondadori ed editrici controllate: “Sto parlando di firme come Corrado Augias, Piero Citati, Federico Rampini, Roberto Saviano, Nadia Fusini, Piergiorgio Odifreddi, Michela Marzano (…) Eugenio Scalfari, Gustavo Zagrebelsky, Adriano Prosperi…”

In cosa consiste il grosso dubbio di Mancuso, che appare comunque sincero fino all’autolesionismo? “Da un lato un debito di riconoscenza per l’editrice che ha avuto fiducia in me quando ero sconosciuto, dall’altro il dovere civico di contrastare un’inedita legge ad aziendam che si sommerebbe alle 36 leggi ad personam già confezionate per l’attuale primo ministro (…) A tutto questo si aggiunge lo stupore per il fatto che il Corriere della Sera, gruppo Rizzoli principale concorrente Mondadori, finora abbia dedicato una notizia di poche righe alla questione: come mai?”

Lancio giusto per il Corriere del giorno dopo, che fa il paginone, nel quale c’è un articolo di Paolo Di Stefano titolato esaurientemente: “Una coerenza fuori tempo massimo”. Di Stefano elenca le innumerevoli occasioni (e ragioni) di dissociazione date dalla controversa natura del gruppo Mondadori ai suoi autori e puntualmente disattese. E conclude con una frase piena di inevitabile sarcasmo: “Vediamo se qualcuno dei tanti nemici del Caimano evocati da Mancuso troverà lo slancio di orgoglio capace di mettere in discussione la propria coerenza civile”.

“Orgoglio” è la parola chiave, perché Di Stefano, occupandosi di scrittori italiani, sa bene che sono quasi tutti dei leccaculo per loro sostanziale e inevitabile natura. Almeno il 90%. E un’altra indicazione era contenuta nell’articolo di Mancuso che ricordava il catalogo di Mondadori e i soldi di Mondadori. Lo scrittore è un poveretto (quando non giornalista, in quel caso ha un bello stipendio e scrivere libri concorre a lucidare il suo ego) che sogna di pubblicare per un grosso gruppo editoriale, perché così può sperare in: visibilità, gloria e denaro. Quindi è inutile sperare negli scrittori. Qualcuno potrà andarsene ma impossibile una sollevazione di tutti gli autori “di sinistra”. Ma è anche ipocrita pensare che esista un capitalista buono o di sinistra (la seconda è una contraddizione insuperabile negli stessi presupposti teorici; nel socialismo ideale e morfologico sono la stessa cosa). Basta guardare il consiglio di amministrazione di RCS, confindustriali, non certo intellettuali. Del resto se un pessimo scrittore fascista come Montanelli ha cominciato a essere considerato un eroe rivoluzionario dopo aver litigato con Berlusconi o il signor “Gladio” Cossiga diventa alla morte un benemerito della Repubblica è evidente che viviamo nella “zona grigia”. Saviano la riconosce alla radice nella politica e nel sociale italiani, ripete sempre che in Italia la “zona grigia” “sfuggente, opaca, nebulosa, perché è fatta di infinite tonalità di grigio” è una condizione globale, è la regola di ogni aspetto delle relazioni sociali ed economiche italiane: cultura e comunicazione non sfuggono. Il gruppo Mauri o RCS o qualsiasi altro grande editore italiano non sono meglio di Mondadori solo perché non hanno un primo ministro che li aiuta, sono nella zona grigia, operano, come possono, in modo simile…

E a questo punto, a parte lo scarso coraggio degli autori, interviene il rapporto con le competenze: chi lavora e come lavora. Un buon direttore editoriale, un buon editor, un buon redattore valgono più della proprietà della casa editrice, qualora, ovviamente, la proprietà non voglia entrare nel merito (censura o altro…) di ciò che pubblica. Per il resto Mondadori non è differente da Fiat, per cui lo stato italiano ha lavorato con più dedizione che per qualunque altra causa. O da RCS e da Rai, da Mediaset e dai quotidiani di partito e non.

Cosa succederà ora?

Stefano Mauri, del Gruppo Editoriale Mauri Spagnol (che comprende tra gli altri Guanda, Longanesi, Salani, Garzanti, Bollati Boringhieri…) il 23 ha rilasciato una dichiarazione cerchiobottista ad Affaritaliani.it (dove può essere reperita per intero), contenente comunque molte inoppugnabili verità, alcune frecciatine a uso degli addetti ai lavori e opportune omissioni. Per esempio: “Gli scrittori non sono calciatori. Lavorano sul lungo periodo. La gestazione di un libro può durare anni e i contratti decenni. Dunque nessuno si aspetti improvvisi cambi di casacca da parte di frotte di autori. Non è nemmeno contrattualmente possibile. (…) Anche piccoli o medi editori indipendenti possono fare la fortuna di un autore e la dimensione della casa editrice non è determinante né per la qualità del lavoro né per i soldi che si guadagnano, visto che gli autori ricevono le royalties in proporzione alle vendite. Certamente se fossi un avversario politico di Berlusconi e pubblicando per lui ricevessi un anticipo ben superiore alle royalties effettivamente recuperate un problema di coscienza me lo porrei. Ma non so se vi siano casi del genere perché sono informazioni che appartengono al rapporto autore-editore. E forse non mi sentirei così scomodo come vorrei essere se mi pubblicasse il mio rivale politico e dovrei necessariamente accettare analoghi dubbi dei miei lettori”.

Questa citazione dovrebbe bastare, perché Mauri sa bene che almeno tre di queste affermazioni sono discutibili: 1) in alcuni casi uno scrittore può svincolarsi il giorno dopo averlo deciso, rendendo l’anticipo e in alcuni casi pagando una penale; 2) piccoli o medi editori indipendenti lottano per sopravvivere, e chi possiede il più grosso distributore librario italiano (Messaggerie è nella holding della famiglia Mauri) lo sa bene. Altro che fare la fortuna. Accade una volta ogni dieci anni, per lotteria; 3) royalties superiori al venduto o al potenziale di vendita vengono regolarmente versate dagli editori agli autori per strapparli alla concorrenza o semplicemente per compiacerli (specie quando si tratta di politici o di personaggi pubblici).

La polemica si allarga anche al folclore editoriale con un’intervista sopra le righe all’autore Mondadori Ottavio Cappellani apparsa sempre su Affaritaliani.it: “L'appello di Vito Mancuso? Nulla di che. Non vende come Saviano quindi è inutile che ‘rompa’. È l’autore di Gomorra a contare… Le butto un'ipotesi, destituita di ogni fondamento, anche se… Saviano non riesce a scrivere il libro sul traffico della cocaina perché sotto scorta. Credo ci sia qualcuno che gli sta consigliando di scrivere un libro sulla P3 sulla scia di Travaglio. Non a caso il più attivo è Stefano Mauri, azionista e de Il Fatto e di Chiarelettere. La lotta in atto è tra Gems e Mondadori (…) ho letto l'intervento di Mauri, che è furbo e vuole Saviano e gli altri autori Mondadori, abbassando i prezzi. Inizia a fare difficoltà. I contratti da rispettare, il fatto che non sia facile cambiare casacca in corso. È molto semplice: gli autori Mondadori che dovessero passare col gruppo Mauri-Spagnol vedrebbero i loro anticipi ridotti al lumicino perché la Gems dovrebbe pagare le penali. Mauri, che è bravo, in questo momento sta promettendo agli autori Mondadori soltanto lavoro editoriale e lancio pubblicitario. Mentre la Mondadori continua nella sua politica di bonifici bancari di anticipi consistenti. Scommettiamo che nessuno abbandonerà Mondadori? Gli consiglio di aspettare ancora un po', ho un'intercettazione di Saviano che prima o poi mi piacerebbe pubblicare. Le assicuro che a quel punto Mauri Saviano se lo compra a due lire…”

Ecco cosa succederà se la polemica prosegue, autori esposti come Saviano verranno messi in difficoltà, costretti a una scelta da fattori estranei al loro percorso autoriale. Alla maggior parte degli altri, che mai si metteranno a dire tutti insieme smettiamo di pubblicare con Mondadori, non resta che l’attesa, affinché l’imbarazzante polemica si esaurisca risucchiata nell’oblio della “zona grigia”.

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